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Seguiamo con apprensione il negoziato in corso tra Russia e Ucraina, con la convinzione che per ristabilire la pace sia necessario:
1. che la Russia ritiri le sue truppe dal territorio ucraino, ma allo stesso tempo le sia riconosciuto il diritto alla sicurezza nazionale.
Questo significa che l’Ucraina deve necessariamente rinunciare a far parte della Nato e non appellarsi al diritto di autodeterminazione, perché la libertà si può realizzare sempre e solo all’interno delle condizioni specifiche che ne limitano la portata e, in questo caso, la situazione geopolitica di tutta l’area dell’est europeo e la stessa posizione geografica dell’Ucraina pongono dei limiti invalicabili all’esercizio assoluto della libertà, pena l’inasprimento e allargamento di un conflitto che potrebbe avere conseguenze distruttive senza precedenti;
2. che la Nato si impegni formalmente a non espandersi in altri paesi europei, né ora né mai;
3. che i paesi europei smettano immediatamente di gettare benzina sul fuoco del conflitto, come invece stanno facendo con la promessa di armi e mezzi militari in appoggio all’Ucraina. Un loro intervento farà deflagrare la guerra, anziché risolverla.
Il ruolo dei paesi europei membri della Nato dovrebbe essere quello di imporre agli USA di interrompere questo ennesimo tentativo di accerchiare la Russia. Dovrebbero far prevalere la volontà dei popoli di convivere pacificamente in tutta la regione, anziché disporsi a svolgere il lavoro sporco a tutto vantaggio degli USA, gli unici beneficiari di questa guerra e delle nuove sanzioni che si vogliono imporre a Mosca.
Invece i governi europei sono disponibili ad alimentare il conflitto anche a rischio di provocare un’ecatombe in Ucraina, accettano di esporre i nostri territori al pericolo di ritorsioni nucleari e ubbidiscono all’imperativo statunitense di applicare alla Russia sanzioni economiche che danneggeranno le nostre economie, mentre Biden ne approfitterà per rivitalizzare quella del suo paese; oltre, beninteso, a raggiungere l’obiettivo primario di troncare ogni tipo di collaborazione presente e futura tra Europa e Russia.
Di fatto, i membri europei dell’Alleanza Atlantica sono dei sudditi. E i loro governi sono i traditori dei loro popoli, delle loro necessità e aspirazioni.
Hanno nelle mani la possibilità di operare concretamente per far cessare questa guerra e si negano a farlo, anzi, la alimentano.
A noi, popolazioni dei paesi europei, non è dato influire sulle scelte della Russia o dell’Ucraina, ma possiamo almeno far sentire a chi ci governa il nostro dissenso e la nostra ferma volontà di fermare questo disastroso conflitto.
Chi vuole davvero la pace non alimenta la guerra. Il resto sono solo panzane e retorica bellicista.

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Oggi comincia alla Camera la discussione per approvare la modifica della Costituzione che taglia il numero dei parlamentari di Camera e Senato.
Il Governo attuale, M5S e PD, in continuità con quello precedente, M5S e Lega, vuole modificare la Costituzione ( agli articoli 56,57,59) per “tagliare” 365 parlamentari, passando cioè da 630 a 400 alla Camera, da 320 a 200 al Senato.
Il rapporto tra elettori ed eletti, in questo momento, è di 96.006 elettori per ogni deputato; con la riforma il rapporto – e, con esso, la distanza tra elettori ed eletti - aumenterebbe a 151.210 elettori per ciascun deputato, mentre per i senatori si passerebbe da 188.424 elettori a 302.420.
Diminuire il numero di membri del Parlamento significa allontanare ulteriormente i cittadini dal potere e dalla politica.
Questa diminuzione di rappresentatività, unita agli sbarramenti delle leggi elettorali in vigore, si tradurrebbe in soglie di sbarramento reale tra il 10% ed il 20%, rendendo, nella sostanza, inaccessibile il Parlamento a qualsiasi partito privo di forti appoggi mediatici e finanziari.
Il depotenziamento delle Camere era già presente nella proposta di riforma costituzionale del 2016, che fu respinta dal popolo con il referendum. Anche nel 2006 era stata presentata una legge di revisione costituzionale, seppur non così drastica come quella in esame oggi, per diminuire il numero dei deputati e dei senatori, anch’essa respinta dal popolo con un referendum.
E’ dal 1985 che i partiti che si sono alternati al governo nelle varie legislature pongono nella propria agenda il taglio dei parlamentari; sembra evidente che, da lungo tempo, i partiti al governo abbiano tra le loro priorità il fatto di rendere sempre più inaccessibile il Parlamento alle forze politiche minori, cui mancano visibilità mediatica e forza economica.
Il depotenziamento del potere del Parlamento è in atto già da anni, mediante la consolidata prassi di impegnare il Parlamento non nella sua funzione legislativa ma, piuttosto, grazie al ricatto del voto di fiducia al governo, nell’approvazione di Decreti Legge che, per di più, sono per la maggioranza implementazioni di direttive europee che arrivano direttamente dalla Commissione Europea.
Troppo spesso,ormai, all’approvazione del Parlamento vengono sottoposte leggi che nemmeno sono state discusse, come è accaduto in occasione dell’ultimo bilancio dello Stato.
Inoltre le leggi elettorali più recenti hanno, di fatto, sottratto agli elettori la possibilità di scegliere direttamente i propri rappresentanti, che vengono scelti dai partiti attraverso il meccanismo delle liste bloccate.
Nel 1946, prima che la Costituzione fosse promulgata, nei lavori della Sottocommissione della Commissione per la Costituzione del 18 settembre, furono espresse le seguenti valutazioni, volte a definire la proporzione tra numero di elettori e numero di deputati e senatori: ”La diminuzione del numero dei componenti la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuol diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incominciano col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un Deputato per ogni 150mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.”
I fautori del taglio dei parlamentari sostengono la validità di questa limitazione della democrazia, utilizzando come termine di paragone la proporzione elettori/eletti dei Paesi meno evoluti in termini democratici. Inoltre prospettano un risparmio che si attesterà intorno ai 60 milioni di euro, una somma praticamente irrilevante all’interno del bilancio dello Stato.
A fronte di tale risibile risparmio, si avrà come conseguenza un costo sociale esorbitante, dovuto alla svendita degli assetti strategici dello Stato, che proseguiranno ancora più spediti grazie a un Governo, un Parlamento e un Senato sempre più slegati dai bisogno e dalle istanze della popolazione.
Il numero dei Parlamentari sarebbe invece da incrementare, per ridurre la distanza tra elettori ed eletti, in modo che, ancora una volta nella storia, la Costituzione Italiana fosse di ispirazione nella lotta per i diritti sociali e democratici di tutti gli altri popoli.
E’ indispensabile ridare al Parlamento la centralità che gli assegna la Costituzione.
Va approvata una nuova legge elettorale proporzionale, senza sbarramenti e che garantisca il diritto di scelta dei parlamentari da parte degli elettori.
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Partito Umanista - 18 aprile 2012
Avremmo preferito che non succedesse. Invece è successo. Il Parlamento ha approvato in via definitiva l’inserimento del “pareggio di bilancio” nella Costituzione italiana. Un Parlamento costituito da deputati e senatori che non hanno ricevuto nemmeno un voto da parte degli elettori, ma che sono stati piazzati lì dai vertici dei rispettivi partiti e quindi, proprio per questo, ancor più servili rispetto alle direttive dei suddetti vertici. Anche il governo che ha proposto il disegno di legge approvato non è mai stato eletto dai cittadini. In sintesi, nessuno in Parlamento è mai stato votato dai cittadini eppure hanno cambiato la Costituzione senza nulla chiedere a quel popolo che dovrebbe essere, sempre secondo la Carta, l’unico sovrano in questo paese.
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Oggi è una giornata di LUTTO Nazionale in particolare perchè in Italia è stata STRAVOLTA la COSTITUZIONE, Lo Stato è diventato un'azienda e noi i suoi dipendenti, altro che SANITA' ed EDUCAZIONE che erano il DEBITO per lo STATO e il CREDITO per noi.
Ora lo Stato dovà essere in CREDITO il che vuol dire che noi saremo in DEBITO, famiglie , aziende, e quindi fallieremo!
In fondo è facile il libro cassa: ENTRATE ed USCITE , se lo STATO è in DEBITO vuol dire che sta dando soldi ai privati, li stampa ovviamente, o mette numeri nei computer che ci permettono di scambiare beni e servizi e fare funzionare l'ECONOMIA quella REALE.
Se lo STATO è in CREDITO vuol dire che ci sta togliendo SOLDI , servizi e BENI, vuole fare PROFITTO sulla nostra pelle, come fosse un AZIENDA.
Ecco cosa è il PAREGGIO di BILANCIO, il fatto che lo STATO diventa un'azienda e non è più uno STATO, noi non siamo più CITTADINI, non siamo più in DEMOCRAZIA.
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Partito Umanista Internazionale, novembre 2011 -
Quando gli umanisti osservano i processi sociali, politici ed economici in tutto il mondo e partecipano ad essi, non possono fare altro che riflettere sull'attualità, in questo momento storico, del Documento del Movimento Umanista, scritto da Silo nel 1993 (1). Dalla sua lettura si può comprendere fino a che punto la direzione della storia abbia confermato le tendenze lì spiegate e fino a che punto oggi, più che mai, sia necessaria l'unione di tutti gli umanisti del mondo, affinché le più profonde aspirazioni umane si possano trasformare in realtà.
Come partito politico ispirato a questa corrente dell'Umanesimo Universalista, in questo momento storico riteniamo necessario analizzare la situazione attuale, per arrivare a delle proposte di azione nel contesto mondiale presente.
L'ANALISI
L’irruzione delle nuove generazioni
Negli ultimi tempi c’è stata, in tutto il mondo, l’irruzione di diversi movimenti sociali che hanno colto di sorpresa tutti gli analisti e gli opinionisti che avevano decretato la fine della storia.
Le espressioni sociali di paesi tanto diversi come la Tunisia, l’Egitto, l’Islanda, l’India, la Spagna, il Cile e gli Stati Uniti, differenti in quanto a motivazioni e rivendicazioni, hanno in comune il fatto di aver avuto come protagoniste le nuove generazioni. Migliaia di giovani hanno iniziato a scendere nelle strade, a mostrare la loro indignazione per il mondo ingiusto ereditato, ad accettare la sfida di essere protagonisti del cambiamento sociale; hanno fatto tutto questo adottando la nonviolenza attiva come metodologia di azione.